Sedere nella stanza dei bottoni non è affar semplice, tantomeno incarico adatto a tutti. Dalla tastiera di un telefonino, specie se non si ha alcun compito di responsabilità (e, magari, non lo si ha mai avuto nella vita) per risolvere i problemi è sufficiente spararla grossa. Sì, più la soluzione è fuori scala, più si intercetta l’applauso di chi, tra l’annoiato e l’arrabbiato, non ha alcuna voglia di riflettere su ciò che certamente ha condiviso, probabilmente letto, sicuramente non analizzato. E' così, e non ci si può far niente.
Ai tempi del coronavirus, il fiume di notizie è tale che, sebbene si sia costretti a casa, è praticamente impossibile trovare il tempo per starci dietro. 

Infinitamente più semplice è affidarsi al video del capopopolo di turno, girare e rigirare pensieri di chi non si sa nemmeno chi sia, intasare la rete di sproloqui, fregnacce di vario tipo e natura, inviti a questa o quell'altra catena di Sant'Antonio. Queste ultime, per lo meno, non fanno male ad alcuno; tutto il resto, però, sì, e pure tanto, perché ci consegna una realtà che non è quella reale, ma una raffigurazione distorta piena di astio, cattiveria, codardia e chi più ne ha più ne metta.
Per uscire da tutto 'sto casino, è bene mettercelo in testa, ci vorrà del tempo. Tanto tempo, più di quello che fino a oggi ci ha fatto spaventare. In questo contesto, che riguarda buona parte dell'Europa, vomitare livore contro chi, dal locale al nazionale, sta provando a tirare le fila di un'emergenza epocale mai vista dal Dopoguerra in poi e nemmeno immaginabile prima che ci investisse (così non fosse, saremmo stati tutti pronti), è un esercizio quasi inutile. Forse aiuta chi lo pratica a scaricarsi un tantino; di contro, è contagioso tanto quanto il virus che ci fa paura perché, involontariamente, ci imbruttisce. Per difenderci da entrambi, la medesima ricetta: tagliare i contatti inutili e tanta fiducia in chi ne sa più di noi, medici in primis. Il resto lo farà il naturale desiderio di non guardare più il mondo da una finestra.